Il blog del corso di scrittura giornalistica I - Università di Cassino, facoltà di Lettere e filosofia

lunedì 16 aprile 2012

Ricomincio dal titolo

Ricominciamo il nostro percorso dai titoli. A partire da una domanda: a che cosa serve un titolo? Semplice: a far risparmiare tempo al lettore. Come sappiamo infatti per leggere un intero quotidiano servirebbero all’incirca 5 ore mentre gli italiani, secondo alcune statistiche, dedicano a questa attività una ventina di minuti. Quando ci troviamo del resto a sbirciare sui giornali degli altri, in fila alle poste, in treno o sulla metropolitana… non buttiamo istintivamente gli occhi innanzitutto sui titoli?
Dialogo intertestuale
Il titolo rappresenta insomma un livello molto importante della fruizione che nelle testate on line diventa spesso l’unico: chi legge i giornali on line si sofferma quasi esclusivamente i titoli della home page. Attraverso il titolo i lettori possono capire di che cosa parla l’articolo, con quale “taglio” racconta una certa storia, e decidere se leggerlo o se sceglierne un altro. Il titolo insomma è il luogo della sintesi, nel quale si esprime il dna dell’articolo e si mette in evidenza il focus della notizia. Ma non solo. È soprattutto attraverso i titoli che i giornali “parlano” fra loro: è un livello del dialogo intertestuale fra le testate (e fra i media: spesso i titoli dei giornali cartacei vengono condizionati da quelli dei telegiornali, dialogando con loro…) sul quale si determinano le diverse istanze dell’enunciazione. Non per nulla già dal titolo è spesso possibile capire da quale punto di vista si racconta una certa storia, quale sanzione contiene, chi svolge il ruolo del soggetto o del destinante… E queste posizioni, da una testata all’altra, ma anche da un autore all’altro, come abbiamo visto possono cambiare radicalmente: un personaggio che in un certo articolo svolge la funzione del soggetto in un altro può diventare l’antisoggetto (ricordate l’esempio dei due articoli sulla Tav, uno pubblicato sulla Stampa e l’altro sul Manifesto?).

La morfologia
Vediamo innanzitutto la morfologia dei titoli. Di solito si distinguono tre elementi della titolazione: l’occhiello, il titolo vero e proprio e il sommario. Che differenza c'è?

  • l’occhiello si trova sopra il titolo ed ha una funzione marginale, presenta la notizia ma in sostanza rappresenta un completamento grafico della pagina. Gli elementi più importanti della notizia non si collocano certo lassù… Non per nulla nei giornali on line non viene quasi mai utilizzato ed anche in molti giornali della free-press, gli ultimi nati nella storia del “vecchio” giornalismo cartaceo, è ormai scomparso
  • il titolo vero e proprio espone invece la notizia: qui la storia viene narrata al più alto livello di sintesi, distillandone il senso ancor più di quanto non accada nell’attacco
  • il sommario chiarisce infine il significato della notizia e aggiunge altri particolari: nella catena di lettura viene subito dopo il titolo (difficilmente, dopo aver letto il, titolo, l'occhio del lettore torna in alto verso l'occhiello...).
Esiste inoltre, in alcuni giornali, il cosiddetto "catenaccio": un ulteriore elemento di titolazione, al di sotto del sommario, che specifica altri aspetti dell’articolo.

Senso della posizione
Dal punto di vista della semiotica, riprendendo quanto in questo caso raccontano Patrizia Violi e Anna Maria Lorusso ("Semiotica del testo giornalistico", Laterza 2004), il senso del titolo è determinato innanzitutto alla posizione che occupa nella pagina. Ovvero: se sta in alto, prima dell’articolo, il titolo avrà una funzione tendenzialmente anticipatoria rispetto ai contenuti; se sta al centro avrà la funzione di enfatizzarne e sottolinearne alcuni aspetti; se invece sta sotto, alla fine dell’articolo, la sua funzione sarà tendenzialmente quella di riassumere il contenuto e di esprimere un commento.

Immagini e narrazioni
Si possono distinguere inoltre titoli narrativi, iconici, patemici e interpretativi. Vediamo:
  • i titoli narrativi “raccontano” in maniera sintetica il focus dell’articolo e, proprio per svolgere questa funzione, contengono di solito dei verbi. Rappresentano in buona sostanza il riassunto, quasi nei termini del “microcontenuto”, della notizia e sono solitamente molto carichi di contenuto informativo.
  • i titoli iconici invece investono più su un effetto di staticità, si esprimono quasi in forma di slogan e si ispirano ad un’immagine. È una maniera di comporre i titoli più moderna, mutuata dalla pubblicità: non per nulla sono spesso iconici i titoli de “La Repubblica”, che è uno dei giornali formalmente più moderni del panorama italiano, o quelli (spesso molto provocatori) del “manifesto”. I titoli iconici sono di solito brevi e ovviamente nominali, rinunciano cioè al verbo. Prevedono inoltre che l’enunciatario (il lettore) condivida con l’enunciatore (l’autore del testo) alcune informazioni di fondo: si dà cioè per scontato che esista un terreno comune di conoscenze (quello che Umberto Eco chiama “enciclopedia”) sulla base delle quali quel titolo acquista senso.
  • Ci sono poi quelli patemici, centrati cioè sul contenuto emotivo della notizia, sul dolore o sulla gioia che suscita: ogni giornale, del resto, può scegliere con quale tonalità emotiva raccontare un fatto e nei titoli questa scelta, proprio per la loro visibilità, diventa particolarmente visibile. E proprio la crescente diffusione di queste ultime due categorie di titoli, quello iconico e quello patemico, dimostra come esista una tendenza generale dei media verso la spettacolarizzazione del reale, verso l’immediatezza del racconto visivo, che tende a fissare gli eventi nella memoria dei lettori attraverso emozioni forti… recuperando, come ci siamo detti diverse volte, alcune peculiarità della civiltà della comunicazione orale.
  • Infine, una quarta categoria è quella dei titoli interpretativi, grazie ai quali la testata giornalistica si colloca anche politicamente. In questo tipo di titoli si evidenzia la fase della “sanzione” che abbiamo individuato ragionando insieme a Greimas sulla struttura profonda della narrazione giornalistica. Sono titoli, questi ultimi, che aiutano insomma il lettore a leggere il senso della notizia che sta per leggere (o per non leggere… dipende dall’efficacia del titolo).
Siamo tutti titolistiQuesta maniera di catalogare i titoli non è l'unica. Umberto Eco individua, infatti, titoli “informativi” ed “emotivi”. Altri distinguono fra titoli enunciativi e paradigmatici: i primi raccontano un evento, ripercorrono la storia in estrema sintesi, mentre i secondi ne evidenziano un aspetto attraverso un’immagine. Ma come si costruisce un titolo? Proviamoci...
  • per comporre un titolo enunciativo potremo utilizzare le “parole chiave” che emergono dall’articolo, gli elementi e i personaggi principali, provando a comporli per narrare con grande sintesi la storia: sono titoli adatti soprattutto agli articoli di cronaca, nei quali si riferiscono spesso già nel titolo personaggi e dichiarazioni che poi si ritrovano all’interno dell’articolo (oggi su Repubblica.it: Ambiente, arrivano gli eco-incentivi per bici e ciclomotori non inquinanti)
  • per comporre un titolo paradigmatico invece dovremo cogliere un aspetto della notizia e portarla in evidenza attraverso una parola, una frase breve e nominale, l’evocazione di un’immagine… Una strategia utile soprattutto quando si compongono titoli per articoli di commento (come gli editoriali, i corsivi ecc.). Un esempio? Da "La Stampa" di pochi istanti fa: “Unipol, bufera intercettazioni”. In questo caso si evidenzia una morfologia di titolo assai diffusa: quella con la “parola chiave” incorporata. Ovvero: “Unipol” serve per collocare tematicamente la notizia, “bufera intercettazioni” la espone in termini nominali (con un effetto, direi, patemico).
Ma attenzione: tutto questo è soltanto un punto di partenza. Quella del titolo è una struttura flessibile, in continua evoluzione (nei giornali on line per esempio si stanno imponendo stili molto innovativi), che acquista senso soltanto se interpretata, al di là delle regole e degli schemi, con fantasia, coraggio e senso della divergenza. Un po’ come tutto il resto del giornalismo…